Uno dei principali pericoli di questa fase di iper-democrazia della rete è la quantità enorme di contenuti. Sia che si tratti di articoli prodotti professionalmente, sia che si tratti di post di utenti che rimettono in rete testi, video o immagini, oggi la difficoltà per l’intera industria del content providing è raggiungere la massa critica.
I settori tradizionali, penso ad esempio all’editoria cartacea, sono da sempre in crisi ma, oggi più che mai, hanno bisogno di ripensare se stessi e conquistare nuove fasce di pubblico. Va detto che il libro non morirà mai del tutto – per fortuna – ma resterà senza dubbio quel fantastico feticcio di culto per collezionisti o fedelissimi lettori. Il libro di carta, in effetti, va molto al di là del fascino che esercita il prodotto fisico. Si connette, semmai, alla possibilità di ritagliarsi un tempo, assecondare il momento di relax di una passeggiata dell’immaginazione, entrare in un mondo sospeso che ha bisogno di lunghi respiri di concentrazione. Il libro appartiene a un’epoca in cui non tutto si sapeva e il tempo scorreva in modo meno nevrotico, un periodo che non era invaso da così tanti frammenti di informazioni, messaggi, notizie. Oggi l’attenzione delle persone è è costretta a seguire mille sentieri diversi – se è vero che subiamo subliminalmente circa 10.000 messaggi al giorno. Cosa fare allora del contenuto che viene prodotto?
Un buon content manager è in grado di seguire in modo veloce l’aggiornamento dei propri canali di pubblicazione; spesso, facendo riferimento a una serie di tecniche – aggregatori e reader, newsletter, microblog, social bookmarker, piattaforme di content marketing e social network – il CM ha l’ingrato compito di stimolare e gestire il flusso di utenti che segue gli aggiornamenti pubblicati. La tradizionale figura del redattore è cambiata. All’approfondimento delle fonti, all’analisi meticolosa del punto di vista da esprimere nel comporre un articolo, si è sostituita una rapidissima abilità di rimodellazione e rielaborazione di un enorme fiume di file che ogni giorno esplode dal web. Il content manager unisce una certa sensibilità al contenuto con un’ottima conoscenza del contesto nel quale si muove e degli strumenti di publishing online – dai CMS ai social fino alle tante piattaforme che permettono la pubblicazione degli estratti, backlinks, ecc.
Sembra semplice ma, se rapportiamo la grande fatica di seguire tutti questi canali media al calcolo dei benefici ottenuti, ci rendiamo conto che spesso il ritorno non è mai del tutto soddisfacente. Le motivazioni sono varie: può dipendere dal posizionamento dei nostri prodotti (se pubblico un sito che propone approfondimenti sulla filosofia del Novecento non avrò probabilmente gli stessi riscontri di un sito che parla di moda o design); può dipendere dalla qualità dei contenuti (anche nella rielaborazione di articoli già prodotti ci sono regole da seguire, soprattutto per quel che concerne lo stile e il linguaggio); può risultare decisiva la frequenza degli aggiornamenti; oppure, possono essere determinanti l’abilità di lavoro sul SEO e la capacità di disseminare i contenuti. Ricordiamo, però, che la lotta è resa ancora più complicata dall’infinita quantità di publisher che stanno facendo la stessa cosa. Magazine digitali, siti web, blog. Oggi ne nascono dieci al giorno.
Se è davvero cosa rara partire dal basso come publisher e arrivare a raggiungere la massa critica con dei propri prodotti (stiamo parlando di un ingente flusso di contatti che, da solo, deve essere in grado di giustificare strategie di affiliate marketing e di vendita di servizi aggiuntivi, magari in drop shipping), non lo è allo stesso modo puntare su un lavoro di curatela. In questo senso, credo che nel tempo – roba di ancora pochi mesi – l’approccio per chi si occupa di contenuti sia maturare competenze e conoscenze molto tecniche per metterle al servizio di chi ha già un flusso di contenuti talmente ampio da aver bisogno di ri-organizzarlo, destinarlo ad altri formati, circuiti e sistemi del mercato digitale. Parlo dei nuovi media (come smart phone, tablet o altro), e di quell’universo di applicazioni (non solo utilities, è chiaro) che oggi cominciano ad apparire tra le opzioni di chi usa questi nuovi devices. Un esempio: chi compra un libro in formato ebook lo compra raramente sul web e molto più facilmente sul reader; chi scarica un magazine digitale lo ordina direttamente dal tablet; chi apre un video, magari contenente contenuti pubblicitari o di cross-selling (si pensi al video musicale di YouTube), lo fa direttamente da telefonino.
Cosa diventa allora un content manager, visto che sono sempre più necessarie competenze tecniche, capacità di storyboarding e di sense making piuttosto che esclusivamente giornalistiche? Diventa un curatore, tra marketing e contenuto. Una figura professionale molto aggiornata sul mercato dell’editoria digitale (linguaggi e formati compresi) che sa come prendere l’ingente quantità di articoli, testi, video, immagini presente in rete e prodotto dai player ancora operanti nei mercati tradizionali (case editrici, agenzie stampa, giornali), e sa organizzarlo in prodotti verticali, in canali tematici, in storie di approfondimento che vale la pena leggere.
Questa è una pista. Vedremo cosa succederà.
[Credits immagine: Scultura di Loredana Romero fotografata da Nicola Roggero]